FORMIA – Presentazione nuovo prg, la relazione introduttiva del professor Purini

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Note introduttive alla Variante Generale

 

La condizione attuale della città

La discussione sul presente e sul futuro della città che coinvolge i cittadini, la classe politica, gli amministratori, il mondo culturale e quello imprenditoriale; la riflessione teorica da parte di architetti ed urbanisti e le sue conseguenze operative; le ipotesi sulla storia delle strutture urbane elaborate con sempre maggiore frequenza da numerosi studiosi si stanno svolgendo da qualche anno all’insegna di un radicale cambiamento di paradigma. Si tratta di un profondo e diffuso ripensamento delle modalità attraverso le quali la città si è formata e si è evoluta. Modalità che per molti motivi sono ritenute in gran parte da rivedere e da modificare. Sono convinto, come molti, che il modello della crescita illimitata come effetto  di uno sviluppo economico che doveva ampliarsi costantemente e procedere sempre più velocemente sia oggi del tutto superato. Più di quarant’anni di ricerche hanno messo in evidenza come questo sviluppo  rappresenti un pericolo per l’equilibrio complessivo del pianeta, le cui risorse energetiche non sono, come è ormai  convinzione generale, infinite e soprattutto non sono rinnovabili. Si è affermato così il paradigma della sostenibilità come  strategia attraverso la quale tra il territorio e le città che in esso sorgono possono ritrovare un rapporto organico, misurato e compatibile. Dalle tesi proposte nel libro I limiti dello sviluppo, del 1972 alle tesi di Jeremy Rifkin sulla produzione di energia da immettere in rete e di Serge Latouche sulla decrescita si è formato un esteso fronte di idee innovative sul come riformulare l’economia, i rapporti sociali, il territorio e la città. Appartiene a questa linea di pensiero anche l’ambientalismo italiano che è per me un riferimento centrale, un movimento che dalla battaglie storiche di Antonio Cederna alle recenti polemiche e proposte di Salvatore Settis ha cercato di evitare la distruzione definitiva del paesaggio italiano e delle testimonianze del passato che lo segnano. La bozza di Variante Generale del Piano Regolatore Generale di Formia, elaborato da Eugenio Rossi  e in vigore dal 1980, che viene presentata oggi,  va in questa direzione. Preso atto che Formia ha ormai raggiunto una dimensione conforme, e che quindi non è più necessario espanderla, ci si è posto il problema di come assicurare ai suoi abitanti un ambiente urbano, più completo e accogliente. Per realizzare questo obiettivo la Variante Generale si è ispirata  al concetto di rigenerazione urbana. Rigenerazione è qualcosa di più di riqualificazione. Mentre il secondo termine indica una serie di azioni volte a migliorare la qualità della città ma senza riformarne in profondità la struttura, il primo si configura come un processo di vera e propria rifondazione della città stessa a partire dalla sua dimensione attuale, qualcosa di ormai definitivo. La città si ridefinisce totalmente dal suo interno, in alcune parti consolidandosi, in altre assumendo un volto nuovo e più complesso e innovativo  Una relazione più organica tra la città e il suo territorio; l’attenuazione, fino alla scomparsa, della differenza tra il centro e la periferia, il primo il luogo dell’identità urbana; il secondo un sistema indeterminato e frammentario di non luoghi; la riconciliazione tra la città e la natura, che non deve più essere esclusa dall’organismo urbano, a parte qualche parco o giardino, ma deve pervaderlo tutto conferendo ad esso una maggiore qualità ambientale; un sistema viabilistico più efficiente ed ecologicamente conforme; la revisione del patrimonio edilizio o la sua sostituzione ai fini della sostenibilità; la riscoperta diffusa dello spazio pubblico da riconsiderare come l’espressione più autentica della comunità urbana costituiscono altrettanti obiettivi della rigenerazione. Il tutto all’interno della strategia del costruire nel costruito , ovvero del concentrare gli interventi che saranno necessari sulle aree già utilizzate. Aree a volte dismesse, a volte da ristrutturare tramite  la rifusione di volumi con la liberazione di aree a verde o a parcheggi. Ovviamente lo slogan costruire nel costruito va ulteriormente argomentato. Non sarebbe infatti corretto intervenire su un’area già urbanizzata – si pensi alle appena citate aree dismesse – riproponendo le stesse cubature preesistenti o inserendo funzioni che sono state già localizzate in altre parti della città. Concludendo questa riflessione iniziale resta da dire che la discussione attuale sulla città  è attraversata da alcune dualità dialettiche tra le quali quella tra l’ interezza e la frammentarietà, tra la continuità e la discontinuità, tra l’apertura e la chiusura, tra la concretezza costruttiva e l’immaterialità dei flussi. Ormai quasi sempre facente parte del modello della collage city,  teorizzato da Colin Rowe e Fred Koetter, la città contemporanea, anche se di limitate dimensioni come Formia, si presenta come il montaggio in progress di una molteplicità di tessuti, di tipologie, di spazi. Tale molteplicità, molto spesso caotica, deve essere ricondotta a un sistema più agibile nelle numerose risorse che esso propone, un sistema in qualche modo più ordinato e coerente. Va anche detto che ormai pressoché tutte le città contemporanee di grandezza contenuta sono caratterizzate da una vita di carattere metropolitano che è tipica dei centri maggiori. In effetti il carattere metropolitano sembra non dipendere più dalla dimensione dell’insediamento urbano ma, ha permeato ogni centro, anche di media entità, per mezzo della rilevante quantità dei flussi che l’attraversa. Ciò rende necessaria una nuova visione dei fenomeni urbani, che sappia cogliere quanto di metamorfico, simultaneo e contraddittorio è presente oggi nella città.

 

La città giusta

In molti pensano che un piano urbanistico consista in un sistema di norme che servono a governare le trasformazioni  di una città e del suo territorio dal punto di vista delle quantità edilizie e della tipologia di queste, degli spazi verdi, dei servizi, dei luoghi per la cultura e il tempo libero e delle attività produttive. In breve è diffusa oggi l’opinione che  il ruolo principale di un piano regolatore sia quello di utilizzare le risorse umane, politiche e culturali, economiche che si investono nella città in modo che il risultato della loro azione sia positivo per l’intera comunità. Per ottenere questo risultato è necessario disciplinare tale azione risolvendo positivamente i conflitti prodotti da interessi diversi, quelli ad esempio che contrappongono le esigenze private a quelle pubbliche, nonché comporre le divergenze che si creano all’interno delle intenzioni trasformative dei privati. Penso che se è vero che questa idea dell’urbanistica come regolamento quantitativo in prima istanza dell’evoluzione della città è giusta, è anche vero che essa è per più versi, limitativa. La città non è infatti  solo l’esito di calcoli ponderali su quanta cubatura può essere realizzata e dove, essendo tale risultato la conseguenza di un’idea sul presente e sul futuro della città, ma anche sul suo passato, capace di farsi armonia degli spazi, rapporto equilibrato tra pieni e vuoti, bellezza degli edifici pubblici e privati. In poche parole un piano urbanistico non raggiungerebbe il suo scopo  se non avesse come risultato  la città fisica in quanto insieme di ambienti urbani nei quali l’individuo  e la collettività trovano una rappresentazione alta, in grado di dare un senso alla loro vita. Ogni città può essere infatti pensata come un organismo vivente in possesso di  un suo progetto di esistenza, il quale realizza un’intenzione che deve essere compresa da tutti gli abitanti. Questo progetto di esistenza può essere reso riconoscibile solo da una adeguata forma urbis . Una forma che può essere compatta o frammentaria, ma che deve comunque costituire il centro fondamentale  attorno al quale ogni abitante è in grado di costruire una propria mappa mentale della città. Senza questo riferimento, nello stesso tempo concreto e ideale, non sarebbe possibile a un abitante sentirsi parte di una comunità. Recentemente si è svolta nella sede del Consiglio di Stato una tavola rotonda, alla quale sono stato invitato a partecipare, riguardante una questione centrale posta da Francesco Arzillo, membro di quella importante istituzione.  «Nella voce “Urbanistica”, redatta da Luigi Piccinato per l’Enciclopedia Italiana del 1937– così scrive il magistrato – si legge “che il fine pratico dell’urbanistica è quello di dettare norme per l’organizzazione  e il funzionamento di una vita urbana che sia a un tempo bella, sana, comoda, economica.” Colpisce in questo elenco ma lo stesso si potrebbe dire esaminando altre celebri  definizioni della disciplina – continua Francesco Arzillo – l’assenza del riferimento alla giustizia; eppure è difficile immaginare che la vita urbana, in quanto tale, possa essere bella, sana, comoda ed economica senza essere anzitutto giusta ». La riflessione citata è quanto mai opportuna. Una città giusta è una città che sa distribuire i valori urbani in modo equo, che favorisce i cittadini nella ricerca delle opportunità che possono modificare al meglio le loro condizioni sociali, che è intrinsecamente corretta nella sua struttura, che sa esprimere un senso di libertà e di progresso. Negli ultimi decenni l’urbanistica ha cercato di muoversi nella direzione della città giusta superando un’idea puramente vincolistica del piano, caratterizzato peraltro  dal meccanismo spesso inoperante della zonizzazione, nonché dalla qualità astratta e generica di molte delle sue previsioni per concepire un sistema aperto ed evolutivo  di trasformazioni  da verificare nel tempo, facendo ricorso in modo costante al confronto partecipativo. Lo strumento della perequazione si pone  in questo contesto come la chiave di volta di una  gestione flessibile del piano che consenta all’amministrazione di realizzare gli interventi necessari al futuro della città evitando contenziosi faticosi e interminabili. Delineata una strategia complessiva  espressa da un modello morfologico, ovvero da una forma urbis tendenziale, il piano dovrebbe proporsi come un piano per progetti. Con questa nozione si intende un piano che si realizza nel tempo per parti finite. In sintesi la città deve evolvere per interventi completi e correlati, in grado di trasformare le previsioni quantitative non solo nella qualità degli spazi e degli edifici ma in una loro profonda  corrispondenza con i luoghi, in accordo con la memoria  che la città ha di sè e con quel suo progetto di esistenza di cui si è già detto. Solo raggiungendo la quadratura  tra le disposizioni normative e la forma urbana risultante un piano può dirsi, fase dopo fase, veramente operante, in grado per davvero di costruire socialità.

Formia e il piano

Sarebbe impossibile, dato lo spazio assegnato a questa introduzione alla Variante Generale, riassumere la storia di Formia, che peraltro i presenti conoscono molto bene. Mi limiterò allora a sottolineare lo straordinario contesto paesaggistico in cui essa sorge, da tutelare integralmente a partire  dalla sua condizione attuale che va, per inciso, comunque migliorata. Il rapporto con l’incombente fronte dei Monti Aurunci, che si affacciano sul mare con la cuspide del Redentore, un rilevo dal profilo antropomorfo che conferisce con la sua simmetria allo scenario  naturale un carattere singolare, in cui la forza tellurica  si fa immagine mitologica, appare oggi ancora intatto, conferendo alla città un’identità ambientale unica. Anche la Città agricola , sebbene sia avvenuta un’originale città diffusa, dominata dal Monte Campese e dal Monte Incrociatore, che fanno pensare a due colossali massi erratici caduti dalle retrostanti pareti montagnose trasmette un forte senso di continuità. Il clima della città, ancora oggi, nonostante il global warming abbia indotto qualche cambiamento, è un elemento fondamentale della città. Nonostante la presenza degli aranceti non sia più da molti decenni un ornamento della città la presenza dell’agricoltura continua a costituire un aspetto primario della dimensione ambientale di Formia, che affascinò tanti viaggiatori del Grand Tour, tra i quali Johann Wolfgang Goethe. Il grande poeta tedesco fu colpito in particolare dalla presenza sulla spiaggia di numerosi frammenti marmorei provenienti da edifici antichi. Formia romana ha lasciato infatti tracce architettoniche di grande interesse archeologico sia nel suo recinto murario  sia al suo esterno, disseminato di grandi ville. Prima della seconda guerra mondiale la città era un’entità urbana bipolare, articolata tra i nuclei di Castellone e di Torre di Mola, legati alla Via Appia. Si potrebbe pensare all’insediamento urbano di allora come una sorta di città lineare collegata ai centri pedemontani di Maranola, fondata a una certa distanza dalla costa per sfuggire alle incursioni saracene, di Trivio e di Castellonorato. La ricostruzione dopo le distruzioni belliche  fu effettuata tramite un Piano di Ricostruzione redatto da Gustavo Giovannoni ed Eugenio Montuori, il primo uno dei maggiori studiosi e teorici della città del secolo scorso, un rappresentante della cultura storicista, il secondo un architetto inserito nelle tematiche moderne, della cui conoscenza aveva dato un’ottima prova nella città di Sabaudia, di cui fu uno degli autori. A seguito di un concorso  del 1961 il Piano Regolatore Generale fu elaborato dall’architetto Eugenio Rossi, che configurò la struttura della città per fasce parallele alla costa messe in tensione dalla direzione trasversale verso Maranola.  Tale piano fu preceduto, tra il 1961 e il 1962, da un programma di fabbricazione. Il Piano Regolatore Generale, adottato nel 1974, approvato nel 1980. Un nuovo piano fu successivamente assegnato  all’architetto Vezio De Lucia ma esso non pervenne, però alla sua approvazione definitiva.  Dopo un ulteriore affidamento dall’ingegnere Pietro Samperi e all’architetto Sandro Benedetti, in cui il lavoro di fermò alla fase preliminare, fui chiamato  dall’allora Sindaco Michele Forte  come consulente per lo studio della Variante Generale del piano di Eugenio Rossi. Il lavoro, seguito fino al 2013 dall’architetto Roberto Guratti, direttore dell’Ufficio di Piano, e da quest’anno dal suo successore Sisto Astarita, si è rivelato subito molto complesso. Anche se Formia è una città di medie dimensioni i problemi che essa presenta sono numerosi dato anche il ruolo che essa svolge. Un ruolo, non solo di cerniera tra il Lazio e la Campania, ma anche di centro della conurbazione territoriale Gaeta- Minturno. Senza dimenticare che essa è una porta di fondamentale importanza verso Cassino e l’Abruzzo. Notoriamente l’elaborazione di un piano, oltre che essere complessa, come ho appena detto, è anche lunga  e laboriosa. Acquisire i dati, metabolizzare a dovere i contenuti delle relazioni dei consulenti, ascoltare e selezionare le esigenze  espresse dalla comunità comporta un tempo piuttosto consistente.  Quando si elaborano poi le prime ipotesi si innesca un inevitabile processo che prevede ripensamenti, revisioni, collimazioni tematiche, approfondimenti parziali, ritorni alla scala dell’intera città, in una dialettica che a volte può apparire dispersiva e potenzialmente illimitata. Nel corso del lavoro hanno finito però per emergere alcune linee guida che hanno contribuito  a definire con crescente precisione quelli che sono le scelte strategiche  e i caratteri strutturali della Variante Generale. Tra queste la necessità di limitare il più possibile il consumo di suolo e la salvaguardia del carattere ambientale delle zone della città che avevano già raggiunto una completezza morfologica.  Tornando alle analisi conoscitive la relazione del professore Nicola Acocella ha fornito informazioni importanti sugli aspetti sociali  ed economici della città permettendo all’Ufficio di Piano, anche grazie all’elaborazione demografica effettuata, sull’espansione urbana fornita dallo stesso consulente, di quantificare con una certa esattezza il numero dei futuri nuovi abitanti. La situazione geografica, anch’essa di primaria importanza, è stata esposta nella relazione del dottore Silvestro Lazzari e dalla Cedat Europa. Tale relazione si è dimostrata di grande utilità perché ha permesso di rendersi conto della vulnerabilità di alcune parti del territorio comunale rendendo ancora più urgente la sua tutela. L’architetto Carmen Carbone ha descritto l’evoluzione storica dei Formia consentendo così di sintonizzare le previsioni urbanistiche  con le costanti dello sviluppo urbano della città. La dottoressa Nicoletta Cassieri ha fornito indicazioni essenziali in merito al patrimonio archeologico. Il suo contributo non è stato importante solo per sapere dove è possibile intervenire e dove ciò è impedito dalla presenza di resti archeologici. In effetti i ruderi romani esigono un paziente lavoro non tanto di valorizzazione, perché questo termine implica un che di commerciale, quanto di risignificazione tematica, espressa da opportune sistemazioni urbane che restituiscono ai ruderi stessi un’evidenza corrispondente alla visualità contemporanea dell’antico. Ciò nell’obiettivo di fare di Formia un polo di quel turismo nazionale e internazionale in costante crescita, che è interessato alla cultura in tutte le sue manifestazioni. Un’ultima consulenza di grande rilievo per il futuro del piano è stata quella sulla perequazione, affidata al professore architetto Stefano Stanghellini.

La Variante Generale

La Variante Generale propone una serie di interventi sulla città che rappresentano altrettante possibilità per Formia di rinnovarsi a partire dalla sua conformazione attuale. Questi interventi possono essere riassunti nel ripensamento del ruolo delle presenze archeologiche come elemento  fondamentale dell’identità di Formia, a partire ad esempio dalla restituzione alla funzione pubblica dell’antica area portuale di Caposele e di una sistemazione più adeguata del Museo Archeologico; la soluzione di numerosi problemi di accessibilità con una particolare attenzione ai nuclei di Castellone e di Torre di Mola; nell’ampliamento del porto con quello turistico; nella riconnessione dei tracciati soprattutto a Santo Janni e a Gianola nell’intenzione di restituire loro una chiarezza e una funzionalità nuove; nel ridisegno degli spazi pubblici e nella creazione di nuove piazze, localizzate in quelle polarità urbane che sono state individuate come necessarie a strutturare tessuti prevalentemente residenziali.  A questi interventi vanno aggiunti altre complesse operazioni urbane come la rinaturalizzazione della città tramite corridoi ecologici; la predisposizione di luoghi  per la cultura e l’incontro, come, tra gli altri, una mediateca; l’ampliamento della sala teatrale di Castagneto, un museo di arte contemporanea nel parco tematico di Monte Campese; la ridefinizione del sistema delle scuole; una nuova configurazione del fronte a mare; indispensabile per tutta una serie di motivi tra i quali il rilancio dell’attività balneare; la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, in gran parte obsoleto, sia dal punto di vista della sua consistenza volumetrica, che potrà essere rifusa in unità più grandi al fine sia di una migliore utilizzazione delle aree già costruite, sia della sostenibilità; la realizzazione di un incubatore industriale per l’innovazione tecnologica; la riconsiderazione del ruolo urbano della aree già ASI; una relazione più organica tra la città e le montagne retrostanti, il cui grande patrimonio naturalistico non è ancora inserito pienamente nelle risorse di Formia. Un programma di edilizia sociale che permetta ai giovani formiani di avere una casa senza doverla cercare nei comuni limitrofi; un polo congressuale; la Città dello Sport a Penitro a servizio di un nuovo centro scolastico; un Polo Congressuale situato nell’area dell’Ex Seven Up; alcuni nuovi alberghi per incentivare la ricettività; costituiscono ulteriori interventi. La Variante generale prevede inoltre una Pedemontana Leggera, ovvero una nuova strada realizzata collegando tratti di viabilità già esistente che permetterebbe di aggirare la città tangenzialmente. Nel caso venisse realizzata la Pedemontana proposta dal Cipe, di cui attualmente si sta ridiscutendo la fattibilità, quella ottenuta saldando percorsi viari già presenti si integrerebbe con la più impegnativa infrastruttura in programma. Per quanto riguarda il forte impatto sulla città della Via Flacca nel suo tratto urbano, con la conseguente interruzione del rapporto tra il tessuto urbano e il mare, sono state predisposte tre alternative tra le quali scegliere quella che sarà  ritenuta migliore. La presentazione alla popolazione della bozza della Variante Generale, le cui tavole saranno illustrate dopo questo intervento, ha non solo lo scopo di informare i cittadini del lavoro svolto, ma dovrebbe servire soprattutto ad aprire un confronto  con i cittadini stessi, le loro associazioni, gli esercenti, gli operatori turistici, gli imprenditori. Da questo confronto scaturiranno sicuramente indicazioni che saranno ulteriormente discusse e valutate al fine di passare all’ultima fase della redazione della Variante Generale, ovvero la sua stesura finale. Prima di concludere queste note vorrei proporre ai presenti un’ultima considerazione. Nell’età della globalizzazione è emerso un fenomeno nuovo, il ruolo notevole del rapporto tra la città e la cultura nel produrre innovazione, socialità, e anche ricchezza. Oggi tutte le più importanti città mondiali trovano nell’offerta culturale uni dei modi più efficienti di acquisire una posizione centrale nel quadro internazionale. Ma senza uscire dai nostri confini è accertato ormai da qualsiasi rilevamento statistico che le città italiane nelle quali si vive meglio sono o le città d’arte o dei centri nei quali la cultura ha una sua forte presenza. La cultura significa scuole efficienti, luoghi di ricerca, spazi di incontro o di studio come biblioteche e mediateche, musei. Da questo punto di vista si potrebbe dire che una componente primaria della rigenerazione urbana, assieme alle problematiche ambientali, è proprio la cultura. Il mio discorso termina con un bilancio personale e con un augurio. Da sempre visitatore attento e appassionato di questi luoghi, ho cercato nel mio lavoro di proporre un quadro di previsioni che consentissero a Formia di avere un futuro all’altezza della sua storia , che è quanto mai avvincente e prestigiosa. Un lavoro non ancora ultimato che attende ora pareri, che saranno spero positivi ma che conterranno inevitabilmente critiche e suggerimenti su modifiche e integrazioni,  sulle quali occorrerà riflettere perchè la Variante Generale  possa essere formalmente compiuta. Riprendendo quanto dicevo sulla città giusta vorrei ricordare che a poco servirebbe rigenerare la città se questa non diventasse, per tutti coloro che la abitano o che essa ospita, più accogliente e amichevole, più ricca di opportunità, più libera nel consentire a ogni cittadino di trovare un equilibrio tra le sue aspettative personali e quelle collettive.

 


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