“La complessità del Lazio è la sua l’eterogeneità – ha dichiarato D’Alba – la nostra regione ha una gestione di complessità che altre non hanno. La criticità, non solo del Lazio ma di tutto il Paese, è essenzialmente nell’ambito economico. Il vero problema è la distribuzione delle risorse e la politica deve affrontarlo senza tagli lineari. Solo una spinta al cambiamento in un’ottica di innovazione può farci uscire dallo stallo in cui ci troviamo e la politica regionale deve farsi promotrice di questo cambiamento attuando delle strategie che si dispieghino su un arco temporale più lungo, che non guardino solo all’immediato e che abbraccino sia aspetti amministrativi che di sensibilizzazione culturale”.
“C’è un grande disallineamento tra le regioni del nord, del centro e del sud – ha aggiunto Quintavalle – Il sud spende molto, e di conseguenza costa molto, ma non produce sanità. Il Lazio, invece, deve recuperare rispetto ad altre regioni i costi delle prestazioni inutili che sono molto alti. Il 75 % degli ecocolordoppler, per esempio, sono considerati inappropriati. Ritengo che la vera innovazione organizzativa sia l’introduzione di programmi operativi specifici. Si tratta di una possibilità di svolta epocale che, se colta, può consentire di costruire una sanità a modello di cittadino con grande compatibilità economica. Altra questione importante è quella relativa alla sanità penitenziaria ancora troppo sconosciuta. Vi lavorano molti operatori tra mille difficoltà non note o ignorate. Attualmente stiamo dando assistenza agli occupanti di 4 campi profughi, con dispendio di energie e risorse, nella totale non conoscenza da parte dei più”.
“Questa regione – aggiunge Bianconi – ha fatto una scommessa difficile puntando su liste d’attesa e case della salute perché sono obiettivi misurabili e guardano alle esigenze degli utenti. Ci stiamo battendo perché i cittadini abbiamo percorsi di cura chiari sul territorio, perché dopo aver riscontrato una patologia non debbano intraprendere un percorso autogestito. E poi non dobbiamo dimenticare che un’azienda ospedaliera come quella che gestisco non ha solo responsabilità di assistenza sanitaria, ma anche di formazione. Noi, infatti, che formiamo anche gli operatori sanitari con le facoltà universitarie, spesso ci troviamo ad investire risorse senza avere nessun beneficio di ritorno. Gli operatori dopo essere stati formati vanno spesso all’estero con la conseguenza che al dispendio di denaro non segue un vantaggio in termini di acquisizioni di professionalità”.
“La ASL Roma E che dirigo – ha concluso Tanese – e che comprende 4 municipi di Roma, ha circa 1 miliardo e 500 milioni di euro di bilancio annuale. È normale che in questa situazione rappresenti un costo per la politica. Il nostro compito è far sì che non lo sia più e l’operazione con cui il San Filippo Neri diventerà un presidio della Roma E, che permetterà di inserirlo maggiormente in un contesto territoriale, è una razionalizzazione non un declassamento come è stato riportato dalla stampa. La vera sfida non è tanto risolvere l’emergenza, l’urgenza da pronto soccorso, ma prendere in carico un problema accompagnando il malato in un percorso. Questo si può fare dando più servizi sul territorio che accompagnino i cittadini e non li facciano sentire soli”.
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