Nell’opera “‘O surdato ‘e Gaeta” (Il soldato di Gaeta, 1919), Ferdinando Russo narra dell’incontro con il settantottenne Michele Migliaccio, un reduce dell’assedio del 1860-61, rimasto mutilato di un braccio a causa dello scoppio di una granata l’ultimo giorno dei combattimenti, e finito all’Albergo dei Poveri di Napoli. Nel racconto del soldato si ritrovano temi come il tradimento di diversi ufficiali dell’esercito come causa della disfatta, il coraggio dimostrato da Francesco II e da Maria Sofia durante l’assedio e la spietatezza degli assedianti (e in particolare di Cialdini) sia nel rifiutare di accogliere gratuitamente i cavalli che morivano di fame nella fortezza di Gaeta, che nel continuare il bombardamento della piazza anche durante le trattative per la resa. I versi riportano un accenno alla sorte miserabile toccata ai reduci (cui in violazione degli accordi di capitolazione non fu erogata la paga pattuita) molti dei quali morirono di fame o si ridussero a fare lavori umilissimi. La poesia termina con un’immagine di toccante dignità del soldato, che nasconde la medaglia al valore guadagnata a Gaeta sotto la giubba dell’ospizio, dato che sarebbe disonorata dall’essere appuntata sulla divisa dei poveri.
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