Alcuni giorni fa una testata on line del Golfo, attraverso un suo post, invitava i lettori a commentare i motivi di un apparente paradosso: “In estate cresce la domanda di lavoro, ma si fa fatica a trovare il personale stagionale. … Perché? Tante richieste arrivate anche alla nostra redazione, dalla ristorazione – bar, alla balneazione, servizi B&B e pulizie. Ogni anno, in questo periodo, è la stessa storia… riaprono le attività e i titolari si lamentano”.
Alla domanda, che appare del tutto retorica, molti utenti hanno risposto riconducendo la questione alle basse condizioni salariali offerte. Ovviamente non si può generalizzare. Sicuramente ci saranno anche offerte congrue, ma la sensazione che si ha, sentendo un po’ in giro, è che prevalga lo sfruttamento della manodopera, specialmente quella giovanile.
Inutile negare l’esistenza del lavoro nero e dei contratti pirata, specialmente nei lavori stagionali: gli imprenditori cercano di stare sul mercato e di competere grazie ai bassi salari, senza essere costretti a investire e innovare. Così facendo essi non producono benessere collettivo, ma solo ricchezza per sé stessi.
Un Golfo in cui il lavoro è povero, immiserisce il territorio e favorisce la diaspora giovanile. Quest’ultima risulta assai marcata nelle nostre aree, come spesso ricordato dalla scrivente Associazione. Il risultato è l’invecchiamento della popolazione, con il deprecabile risultato di veder mancare abitanti, redditi, idee e innovazione. Cioè il declino.
Allora che fare? La politica può avere un ruolo? È vero che il lavoro non lo crea la politica, ma certamente essa può regolamentare l’uso dei suoi beni e dei servizi pubblici, legandone la gestione -per esempio- a condizioni minime salariali. Esistono già normative di tutela stipendiale, ma spesso contratti di comodo, mansioni non appropriate e ore di lavoro “ufficiali” assai inferiori a quelle effettivamente lavorate, costituiscono facili scorciatoie.
Come già avvenuto a Firenze e, recentemente in altri comuni minori, tra cui la vicina Bacoli, in Campania, si tratta di introdurre nei rapporti contrattuali con le imprese che gestiscono il demanio balneare, gli spazi pubblici (si pensi ai dehor) e i servizi municipali, l’obbligo del salario minimo: nessun lavoratore deve guadagnare meno di 9 euro l’ora.
L’impegno politico che si richiede ai comuni di Formia, Gaeta e Minturno è di approvare una delibera di Giunta, che imponga il trattamento economico minimo nei contratti e nelle convenzioni che li riguardano e che preveda, al contempo, pertinenti forme di vigilanza sull’applicazione della misura.
A ben pensarci il provvedimento non solo difenderebbe i bagnini, i camerieri, i barman e gli operai sottopagati, ma renderebbe anche giustizia agli imprenditori coscienziosi che già pagano stipendi dignitosi.
Una tale misura estesa a tutti i comuni del Golfo (e non solo) non sarebbe male come grado di civiltà e biglietto da visita per l’imminente stagione balneare.
Associazione Comunità Lazio Meridionale e Isole Pontine
Associazione Incontri & Confronti
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